Contemplativi
Il bene comune deve rimanere sempre il fine ultimo della politica. Questo significa due cose. Anzitutto, rifiutare la politica come gestione della cosa pubblica per il bene di una parte. Di una corporazione, di un gruppo di potere o di pressione. “I partiti devono promuovere ciò che, a loro parere, è richiesto dal bene comune, mai però, è lecito anteporre il proprio interesse al bene comune”(GS,75).
E poi significa mettere al centro la persona, adattandola come misura di ogni impegno, come principio architettonico di ogni scelta, come criterio assiologico supremo. La persona, non il calcolo di parte. La persona, non le astuzie di potere. La persona, non le mosse egemoniche. La persona, non il prestigio delle fazioni.
Perdonate il gioco barbaro dei termini con cui si vuol dire che ogni dinamismo espresso nella prassi deve partire dalla contemplazione. È necessario che gli uomini impegnati nell’agire politico, quale che sia il loro credo religioso, siano dei contemplativi, diano spazio al silenzio e all’invocazione, non si lascino distruggere la vita dalla dimensione faccendiera, non si sperperino nella dissolvenza delle manovre di contenimento o di conquista.
“Siamo all’alba del terzo millennio -scrive La Pira– e come all’alba del secondo, vanno a fiorire di
nuovo i mistici e gli artisti”.
Io penso che i politici, se vogliono essere onesti col mondo che intendono servire devono essere
mistici e artisti nello stesso tempo. “L’immaginazione al potere”, scrivevano sui muri gli studenti
della Sorbona nel ‘68. E, qualche anno dopo, Paolo VI, nella Octogesima Adveniens affermava: “In
nessun’altra epoca l’appello all’immaginazione sociale è stato così esplicito come nella nostra.
Occorre dedicarvi sforzi di inventiva e capitali altrettanto ingenti come quelli impiegati negli
armamenti o nelle imprese tecnologiche”… (OA,19)
La parola di speranza la traggo da un passaggio splendido della Gaudium et Spes che parla della
politica come “arte nobile e difficile”.
Il che significa che chi la pratica deve essere un artista, un uomo di genio. Una persona di fantasia.
Disposta sempre meno alle costrizioni della logica di partito e sempre di più all’invenzione creativa
che gli viene richiesta dalla irripetibilità della persona.
Arte, cioè programma, progetto, apprendimento, tirocinio, studio. È un delitto lasciare la politica
agli avventurieri, è un sacrilegio relegarla nelle mani di incompetenti che non studiano le leggi, che
non vanno in fondo ai problemi, che snobbano le fatiche metodologiche della ricerca e magari
pensano di salvarsi con il buon cuore senza adoperare il buon cervello. È un tradimento pensare
che l’istinto possa supplire la tecnica e che il carisma possa soppiantare le regole interne di un
mestiere così complesso.
Arte nobile. Nobile perché legata al mistico rigore di alte idealità. Nobile perché emergente da
incoercibili esigenze di progresso, di pace, di giustizia, di libertà. Nobile perché ha come fine il
riconoscimento della dignità della persona umana, nella sua dimensione individuale e comunitaria.
don Tonino Bello
(Molfetta, 22 dicembre 1985, discorso agli operatori politici – consiglieri comunali, segretari di
partito, dirigenti sindacali – riportato sulla rivista “Mosaico di Pace”, supplemento al n.4-5/2013)